Che cos’è la leucemia mieloide cronica dell'età pediatrica
La leucemia mieloide cronica è una neoplasia ematologica ed è caratterizzata da una fase cronica in genere asintomatica, da una fase accelerata e da una trasformazione finale in crisi blastica nella quale si ha un peggioramento dei sintomi e dello stato generale del paziente.
Quanto è frequente
Può manifestarsi a ogni età, ma è rara sotto i 10 anni e solo il 10% dei casi interessa soggetti di età compresa tra 5 e 20 anni.
Quali sono le cause
A causare la LMC è la moltiplicazione anomala di cellule staminali emopoietiche pluripotenti, cioè ancora in grado di proliferare e di differenziarsi; queste cellule appartengono in primo luogo alla serie che porta alla formazione dei granulociti, un tipo di globuli bianchi.
Per questa eccessiva proliferazione si accumula un clone, cioè una popolazione, di granulociti immaturi nel midollo osseo e nel sangue. Nella grande maggioranza dei casi, la LMC sembra sia dovuta alla traslocazione reciproca di segmenti di genoma tra i cromosomi 9 e 22, con formazione del cosiddetto cromosoma Philadelphia (Ph), corrispondente a un cromosoma 22 in cui si è creato il gene di fusione BCR-ABL. Questo gene codifica per una proteina che rende "immortali" i blasti ed è quindi importante sia nella patogenesi della LMC sia nella sua espressione clinica.
Quali sono i segni o i sintomi
II sintomi possono essere debolezza, anoressia, calo di peso, tensione addominale e sudorazione notturna, ingrossamento della milza, pallore, facilità alle ecchimosi e al sanguinamento, febbre, dolori ossei, linfoadenopatie e maculo-papule cutanee.
Nella fase accelerata e nella crisi blastica si assiste ad un peggioramento dell'anemia, ed invasione dei blasti anche a carico di altre sedi, quali il sistema nervoso centrale e i linfonodi; in tale situazione vi è il rischio di complicanze improvvise, come sepsi ed emorragie, analogamente a quanto accade nella leucemia acuta.
Come si pone la diagnosi
La diagnosi di LMC può essere posta sulla base di esami di routine relativamente semplici. Il quadro dei sintomi non è di grandissimo aiuto, in quanto si tratta di sintomi poco specifici (affaticamento, perdita di appetito, calo di peso e tensione addominale), che potrebbero essere riferiti a numerose cause anche molto diverse, soprattutto quando la malattia è in fase cronica.
Infatti, spesso la LMC in fase cronica viene diagnosticata incidentalmente, cioè in seguito ad indagini condotte per altri motivi. Con il passaggio alla fase accelerata, i sintomi diventano più chiari: si presenta un ingrossamento della milza (splenomegalia) che tende successivamente ad accentuarsi, si producono con facilità emorragie ed ecchimosi e insorge febbre in assenza di infezioni.
Fondamentale è l'emocromo, gli esami ematochimici generali per valutare lo stato del paziente e l’esecuzione dei test molecolari su sangue periferico e su midollo per determinare la presenza di cellule portatrici del cromosoma Philadelphia e quindi del gene BCR-ABL.
Per i test citogenetici si possono impiegare due metodiche: la FISH (ibridazione in situ in fluorescenza) e la PCR (reazione a catena polimerasica), Entrambi i tests vengono impiegati anche per altre forme tumorali, ematologiche e non ematologiche, e consentono di distinguere con certezza tra malattie simili per manifestazioni e sintomi. Si possono inoltre eseguire esami strumentali quali ecocardiogramma, ecografia addominale e radiografia del torace; ulteriori esami vengono eseguiti in presenza di sintomi specifici.
Come si tratta
Negli ultimi anni si è assistito, grazie all'avvento di nuovi farmaci, a un radicale cambiamento nel trattamento dei pazienti affetti da leucemia mieloide cronica. Infatti, gli inibitori della tirosinchinasi, definiti farmaci intelligenti, agiscono in modo estremamente selettivo, inibendo l'attività di un enzima (la proteina di fusione BCR-ABL) coinvolto nel meccanismo di insorgenza della malattia, ma senza colpire le cellule sane.
Il capostipite è l'imatinib mesilato, farmaco di prima scelta per la fase cronica; la fase accelerata e la crisi blastica si possono trattare con imatinib ad alto dosaggio seguito da chemioterapia e trapianto dove possibile (limiti di età e donatore compatibile). Il trattamento con Imatinib può dar luogo ad effetti collaterali principalmente di due tipi: non ematologici ed ematologici. Tra i primi annoveriamo edemi e ritenzione idrica, febbre, eritema cutaneo, cefalea, tossicità neuromuscolare, disturbi gastroenterici (vomito, diarrea); tra i secondi riduzione della conta dei globuli bianchi (leucopenia e/o neutropenia), dei globuli rossi (anemia) e delle piastrine (piastrinopenia). Tali effetti collaterali sono però in genere transitori ed eventualmente ben gestibili.
E’ importante monitorare la risposta ematologica (cioè i consueti esami del sangue) sia inizialmente sia all’ottenimento della una risposta citogenetica completa sia successivamente con cadenza regolare, come indicato dallo specialista, al fine di evidenziare inoltre le eventuali resistenze alla terapia ( determinate da mutazioni a carico del gene che codifica per la proteina anomala BCR-ABL).
Infatti in pazienti resistenti all’imatinib è possibile utilizzare inibitori di seconda generazione (come il dasatinib): tale opzione deve essere attentamente valutato con lo specialista ematologo. Attualmente tuttavia la guarigione può essere ottenuta solo con il trapianto di cellule staminali da donatore compatibile: le modalità ed i tempi del trapianto sono da valutare attentamente con lo specialista.
Dr.ssa C. Vallinoto